Ai piedi di Torriglia Vecchia, in atteggiamento quasi difensivo, sorge la contrada di Donetta. A chi vi arriva si presenta con un piccolo gruppo di case, antiche ma ben ristrutturate e raggruppate in un abbraccio attorno al piccolo oratorio con il suo minuscolo campanile a vela. Oggi per buona parte dell’anno la maggior parte delle case resta silenziosa, animandosi solo da primavera inoltrata a fine estate quando gli abitanti vi ritornano per sfuggire alla canicola della città. A prima vista, nessuno potrebbe immaginare che secoli orsono questa piccola frazione ebbe importanza strategica per il Chamino de Lombardia che univa il Nord Europa con i porti di Genova e della Riviera, da dove salpavano le galee della Repubblica per la lontana e anelata Terra Santa. A quell’epoca sulle fondamenta della primitiva abbazia di Patrania era stata eretta la parrocchiale mentre per i monaci lerinesi, qui giunti, le ricchezze di un tempo erano ormai uno sbiadito ricordo e il potente ordine dei Cavalieri del Tempio si era sostituito nella proprietà e nell’amministrazione degli antichi possedimenti monacali. Si diceva dell’aspetto quasi difensivo ai piedi del monte sulla cui cima pellegrini, mercanti o semplici viandanti trovavano riparo per la notte, al sicuro dietro le possenti mura della fortificazione che vi sorgeva. Antichi toponimi quali upalassu e a casa di fratti, ancora oggi in uso ad indicare specifiche strutture abitative, inducono a pensare a insediamenti legati all’antico ordine guerriero – monastico. Lo storico locale Casale Mauro, autore di numerosi saggi, tra cui “L’anello mancante” dove ha pubblicato il frutto delle sue ricerche su questo particolare aspetto di storia medioevale del nostro territorio, sottolinea lo stretto legame tra le peculiarità di specifiche residenze e il loro appellativo. A casa di fratti, ad esempio, presenta stanze molto piccole dove può trovare spazio a malapena un letto singolo con la probabile conclusione che le camere non erano altro in origine che celle monastiche. U palassu per il suo nome e la sua posizione all’inizio del borgo era quasi sicuramente sede degli uffici amministrativi dell’epoca dove venivano riscossi anche i pedaggi che autorizzavano il transito alle numerose carovane dirette ai mercati del Nord. Ma chi erano gli appartenenti ai cavalieri templari che materialmente si occupavano dell’amministrazione e della protezione dei viaggiatori? Il ricercatore Casale non ha dubbi a proposito e indica nella famiglia Magioncalda i principali rappresentanti locali dell’ordine. Il cognome Maxocalida o Maxoncalda risale addirittura al X secolo, periodo in cui si iniziò l’uso del nome di famiglia in Italia. Casale menziona a tal proposito un atto notarile redatto a Sori nel 1179 che riporta il cognome Maxoncalda. I Magioncalda sono ancora oggi presenti a Torriglia. Questa antica famiglia ha annoverato nei secoli molti appartenenti al clero. La chiesa parrocchiale di Torriglia conserva una tavola lapidea che nomina un Dominus Lazarinus Maxocalida che fu Massaro della Chiesa di Sant’Onorato nel 1512. Nessuno poteva fregiarsi del titolo di Dominus se non in possesso di un feudo e di sudditi che avevano giurato fedeltà al proprio signore. Il Massaro gestiva il patrimonio di un ente ecclesiastico o civile, rendendosi responsabile di tasca propria per eventuali anticipazioni di denaro nell’amministrazione, somme che poi si faceva rimborsare a fine anno. Questi titoli – spiega Casale – sono prova di una grande ricchezza e di un importante peso politico all’interno della comunità posseduti dalla famiglia Magioncalda. Ricchezza accumulata nel corso dei secoli amministrando il passaggio, incassando pedaggi e occupandosi del trasporto di merci e della protezione delle carovane. In quell’epoca (XI-XII sec.) si erano insediati sulle pendici dell’Antola un gruppo di saraceni che vivevano predando e uccidendo i viaggiatori. Si era formata una resistenza armata a protezione dei viandanti alla quale aveva aderito la famiglia Magioncalda. Magioncalda è anche il nome di un piccolo borgo della Val Borbera al di là dell’Antola, oggi frazione di Carrega Ligure. Si può forse supporre che Donetta e Magioncalda potessero essere state due stazioni di posta gestite da due differenti rami dell’omonima famiglia.
All’interno dell’oratorio della possessione di Donetta – prosegue Mauro Casale – troviamo il quadro di famiglia dei Magioncalda. Per lo studioso questo è un tassello importantissimo a supporto della sua tesi, considerando che l’artista conosceva sicuramente le vicende legate alla famiglia per poterne celebrare nella sua opera i pregi e il rango sociale.
Il dipinto raffigura la Madonna del Carmelo con in braccio Gesù Bambino mentre mostra uno scapolare. Ai lati della Vergine, San Bernardo e San Giovanni Battista bambino. Tra i due santi un angelo in piedi su quattro libri, che ne tiene in mano un altro aperto. In basso sulla sinistra una mitra e un pastorale giacciono a terra, sulla destra il demonio tenta di artigliare uno dei volumi. Casale ha passato molte ore davanti a quest’opera. Con la sensibilità dell’investigatore ha analizzato ogni più piccolo particolare decifrandone i reconditi significati.
Il monte Carmelo, in aramaico giardino, è una catena montuosa che si trova nell’Alta Galilea, una regione dello stato di Israele. Il Primo libro dei Re, un libro storico della Bibbia, racconta che il profeta Elia raccolse una comunità di uomini sul monte Carmelo e operò in difesa della purezza della fede nel Dio di Israele, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. I Crociati lì giunti nel 1099 trovarono già una piccola comunità di religiosi che si ritenevano successori del profeta Elia e seguivano la regola di San Basilio. Nel 1154 il nobile francese San Bertoldo vi si installò e raccolse gli eremiti in un cenobio. I religiosi vi edificarono una chiesa che venne dedicata alla Vergine e presero il nome di “Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo”. Ad essi si unirono nel 1189 alcuni crociati ed eremiti. Il culto del Carmelo si diffuse infine dopo l’apparizione della Madonna a San Simone Stock il 16 luglio 1251. La Vergine mostrò al santo uno scapolare. Il santo scapolare divenne così simbolo della fede e garanzia di una cristiana sepoltura per chi lo avesse indossato, qualora fosse deceduto a causa di morte violenta.
San Bernardo di Chiaravalle è l’ispiratore della regola dell’ordine monastico-militare dei Cavalieri del Tempio fondato nel 1119 da Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente del santo. L’abate francese scrisse verso il 1135 l’Elogio della nuova cavalleria (De laude novae militae ad Milites Templi). La mitra e il pastorale gettati a terra si riferiscono alla mancata accettazione della cattedra vescovile da parte di San Bernardo durante la sua visita ai fedeli di Milano.
San Giovanni Battista è il protettore degli Ospitalieri (noti ora come Cavalieri di Malta) dove confluirono i cavalieri templari e le loro ricchezze a seguito dello scioglimento dell’ordine nel 1137.
La presenza del demonio rappresenta la lotta contro la tentazione delle idee dei Catari e degli Albigesi, ritenute eretiche dalla Chiesa.
Mauro Casale avvertiva però che tutto non era stato ancora svelato.
Su una pagina del libro tenuto aperto dall’angioletto si legge il seguente versetto tratto dal Seracide (14,5), libro dell’Antico Testamento:
.. Qui sibi nequam est cui alij bonus erit? Et non iucundabitur in bobonis suis…
(Chi è cattivo con se stesso con chi si mostrerà buono? Non godrà dei suoi beni).
Casale spiega che alla prima lettura pensò ad un errore ortografico da parte del pittore: bobonis invece di bonis. Ragionando su altre vicende legate al territorio – prosegue lo storico – mi sono poi convinto che bobonis non è altro che bobone o San Bobone più noto come San Bovo.
San Bovo, originario della Provenza in Francia, sarebbe nato da Adelfrido e Odelinda, nobili provenzali, verso la metà del secolo X. Da giovane scelse la professione di cavaliere per poter combattere i Mori, i quali in quel tempo d’invasioni, partivano dalla base di Frassineto (Fraxinet) nei monti dei Maures, per compiere frequenti e disastrose incursioni nelle regioni della Provenza, Linguadoca e Delfinato. Bovo si distinse in numerose avventure e battaglie, combattute eroicamente contro gli invasori saraceni. Si racconta che il suo eroismo fu tale che nel 973, combattendo con Guglielmo I, duca di Provenza, ebbe parte predominante nell’espugnazione della stessa roccaforte di Frassineto, sconfiggendo i Saraceni. Dopo l’esito vittorioso della guerra, il cavaliere Bovo decise di diventare pellegrino, dedicandosi all’ascesi e alla penitenza. Raggiunse in questo modo un alto grado di santità che dimostrò apertamente nel dare il suo perdono all’uccisore del fratello. Nel suo peregrinare raggiunse Voghera dove morì il 22 maggio 986.
Voghera lo elesse a suo protettore. La piazza principale e la cattedrale del centro lombardo sono intitolati al santo francese.Il culto riservato a San Bovo è diffuso in tutto l’Oltre Po’.
Le tradizioni crociate e la fedeltà alla Chiesa cattolica della famiglia Magioncalda, inequivocabilmente espresse dal quadro, saranno poi riconfermate anche nei secoli successivi da altri suoi membri, appartenuti a diversi ordini cavallereschi tra i quali quelli di San Maurizio Lazzaro e della Corona d’Italia.
Maurizio Adami
Pro Loco Torriglia ringrazia il Signor Casale Mauro per la consulenza storica e per le foto del quadro e dello stemma della famiglia Magioncalda gentilmente concesse